La vita lenta non esiste
campo di grano al tramonto

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

Cesare Pavese, La luna e i falò

Se ripenso a ciò che accomuna gli ospiti che abbiamo accolto nelle ultime settimane mi viene in mente una frase: “Che pace, che tranquillità che c’è qui!”
Persone con vite, storie, luoghi di provenienza diversi, tutte piacevolmente stupite e immediatamente innamorate del silenzio di queste colline che, in realtà, racconta molto di più. È il suono dei rapaci notturni e delle cicale, dei trattori instancabili, dei bambini che giocano in cortile; sono conversazioni in dialetto, di quelle che iniziano tra vicini di casa e si estendono a tutto il paese – chi passa si ferma, racconta qualcosa, e procede lungo la strada. È un micromondo che vive di un ritmo sconosciuto ai più.

Ma prima di provare a spiegare come mai sono sempre più sicura che la vita lenta non esista – o esista per postare un buon video su Instagram, ricevere un sacco di interazioni, e ritornare alla propria quotidianità che poco lascia alla lentezza – è doverosa una premessa: questo è un racconto a cuore aperto a poco meno di un anno dall’inizio di quest’avventura. E, soprattutto, è una presa di coscienza su quanto finché non abbracciamo davvero ciò che ci circonda e decidiamo di viverlo in prima persona, il contesto non farà mai “al posto nostro”.
Ma ci arriveremo.

Davvero vivevi a Milano?

La menzione della mia parte di vita a Milano è un dettaglio che interessa sempre gli ospiti: li affascina il contrasto di due mondi così diversi, ogni tanto mi guardano come a sincerarsi che io abbia vissuto anche quella vita. “Ma io sono cresciuta in un posto simile a questo” aggiungo. In quel momento annuiscono come a dire “Ah, ora si spiega come mai vivi così bene qui”. Quasi sembra impossibile che una persona che ha da poco superato la soglia dei trent’anni possa sentirsi a proprio agio in un mondo che si è fermato ad un’altra era, un altro tempo. Un mondo dove arriva Amazon e la linea internet funziona meglio che in centro a Reggio Emilia, ma dove ci sono ancora ritualità, più generazioni della stessa famiglia, macchine agricole che passano presto al mattino sotto casa (sicuramente ben prima che le auto), amici che si ritrovano al bar a giocare a carte o a parlare per ore.
In un certo senso, è rassicurante. È rassicurante avere delle persone che ci hanno accolto senza pregiudizi o alcun tipo di ostilità; è rassicurante trovare dettagli della mia casa d’origine, della mia infanzia, modi di vivere che sono stati parte di me.

Milano è stata una tappa fondamentale del mio percorso nel giusto momento della mia vita. Ma è stata anche la spinta a ritrovare ciò che era importante a casa mia: dopo aver passato anni a sentirmi a mio agio nel nascondermi tra la folla, essere una qualunque, correre a perdifiato ovunque (anche quando ero in vacanza), ho iniziato a provare la necessità di ritrovare un luogo accogliente, dove essere riconosciuta, dove poter procedere al passo che preferisco, fermarmi ogni tanto, godermi quello che mi circonda. So che non è così per tutti, ma lo è per me. Sono intimamente convinta che, per me, un paese ci vuole.

La vita lenta non esiste

Quando siamo arrivati qui non è stato tutto facile (lo è mai?), né tantomeno in discesa. La ricerca della casa è durata circa due anni, l’acquisto è stato lungo e impervio, appena trasferiti eravamo già pronti per iniziare la ristrutturazione. Nove mesi di lavori, due traslochi fatti, un’attività da avviare. Gli anni che dal rogito ci hanno portato a oggi sono stati tutto tranne che facili, o lenti. E io, ansiosa per natura, mi sono fatta travolgere dagli eventi, a volte fin troppo, tanto da dimenticarmi cosa ci fosse intorno.
Un giorno Paolo me l’ha fatto notare, forse non andandoci troppo per il sottile, ma facendomi ragionare su un punto centrale: non stavo vivendo appieno la vita che abbiamo scelto, così impegnata a stare dietro a scadenze, un telefono, un pc. È stata quella discussione, come spesso accade, il punto di svolta per cambiare prospettiva, quasi staccarmi da me stessa e osservare tutto dall’esterno e scegliere un nuovo punto di vista.
Lasciar andare il dover correre, le performance, l’apparenza. Tornare alla sostanza, alla praticità, a ciò che è reale e ci accoglie e ci vive intorno ogni giorno. Il qui e ora, il vento che accarezza i campi, Artù e Lara che si rincorrono sotto la neve, il profumo della pioggia, la civetta che osserva il giardino dal tetto di fronte, il capriolo che sbuca dal bosco in fondo alla valle e ci studia rimanendo immobile, le ore passate in trattoria a mangiare, ridere, bere un amaro tutti insieme. La leggerezza, che non è mai superficialità.

Ne sono la dimostrazione vivente, che la vita lenta non esiste. Non è un video su Instagram, non è un modo di dire, non è uno di quei cliché che si dicono per illudersi che “se davvero potessimo, allora cambieremmo vita”. La vita lenta esiste se e quando ce ne accorgiamo. Quando davvero realizziamo cosa c’è intorno a noi e lo comprendiamo e lo assorbiamo. Diventa parte di noi e noi parte di lui. La vita lenta parte da noi e dalla nostra consapevolezza.

Il proprio posto nel mondo

Vivere qui mi ha insegnato un’altra cosa – o forse me l’ha solo chiarita, perché in qualche modo l’ho sempre pensata. L’importanza del proprio posto nel mondo, di ciò che si fa, di ciò che si è. E di ciò che non si è. E di capire dove ci troviamo e considerare un quadro più ampio del solo dettaglio: comprendere il contesto in cui ci si trova, addirittura avventurarsi nel prendere in considerazione altre prospettive, altri modi di vivere. Non perché ci sia un giusto o uno sbagliato, ma perché c’è una complessità che richiede cura e attenzione, e per fortuna non è facile, accessibile a chiunque indistintamente, standard, replicabile.

E anche per questo qui non troverai una TV al plasma, il condizionatore, il food delivery o un negozio aperto a ogni ora del giorno e della notte.

Con Dimidium abbiamo creato un luogo che ha dei valori solidi, sono quelli che accomunano me e Paolo nel nostro percorso: il rispetto, l’educazione, l’accoglienza e la condivisione. È tutto questo, prima ancora che i tessili artigianali, l’arredamento vintage, i materassi comodi.

È una visione e un modo di intendere la vita e il prossimo, è voler provare a rendere concreto un modo di essere che, in una vita che ci stava stretta, non aveva spazio. Siamo fortunati, perché tanti nostri ospiti comprendono non solo il nostro percorso, ma anche il cuore e l’anima che mettiamo in ciò che facciamo e in come lo facciamo.

Forse c’è chi lascia Selvapiana e pensa che qui non ci ritornerebbe mai, la strada è stretta e piena di curve e il supermercato non è sotto casa.

I momenti di vera condivisione che abbiamo avuto modo di avere finora raccontano di altro: del rispetto per il silenzio, della piacevole brezza serale sulla pelle, dell’immediata sensazione di sentirsi a casa una volta seduti a cena in trattoria.

Un paese ci vuole.

Valentina